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Giurisprudenza del giudice amministrativo

La giurisprudenza è consolidata nell’orientamento secondo cui, in ordine alla omessa indicazione dei termini iniziali e finali del procedimento espropriativo nel primo atto del procedimento, non è ipotizzabile né una sanatoria con efficacia "ex tunc" mediante convalida, né "ex nunc" mediante integrazione postuma dell’atto incompleto. Ovviamente, anche nel caso in cui la pubblica utilità dell'opera derivi "ope legis" dall’approvazione del progetto, come nel caso in esame, è comunque necessaria l’espressa indicazione dei termini di inizio e compimento dei lavori e delle espropriazioni ai sensi dell’art. 13 della legge n. 2359/1865, che deve avvenire con il medesimo atto con il quale viene approvato il progetto, escludendosi parimenti che l’onere in questione possa essere assolto mediante atti successivi, seppure in via di convalida o sanatoria.

La "ratio" dei delineati orientamenti giurisprudenziali appare  palese: l’indicazione dei termini di cui sopra, prescritta dal citato art. 13, assolve ad una insostituibile funzione garantistica, diretta a provare l’attualità dell’interesse pubblico che si intende soddisfare, nonché l’effettività e la serietà del relativo progetto, per cui i termini devono essere indicati anche quando la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da eseguire derivi direttamente dalla legge, con la conseguenza che in tal caso essi vanno indicati nel primo atto con il quale l’Amministrazione manifesta in concreto la sua intenzione di esercitare il potere ablatorio.

(TAR Sicilia, Sez. II, n. 262/04 depositata il 5/2/2004)

Va rilevato che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 20.5.1999 n. 179 che ha dichiarato la incostituzionalità della normativa statale nella parte in cui non imponeva alle amministrazioni locali la previsione di un indennizzo all’atto della reiterazione dei vincoli urbanistici decaduti, la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che  "la pubblica Amministrazione, nel reiterare vincoli urbanistici preordinati all’espropriazione, deve prevedere il relativo indennizzo, con la conseguenza che sono illegittimi i provvedimenti urbanistici nella parte in cui omettono tale previsione o questa consista in enunciazione di carattere generale, priva di criteri e parametri certi di valutazione"

Nella specie tale previsione dell’indennizzo non vi è stata e pertanto le varianti de qua devono ritenersi, per questo motivo, illegittime.

(TAR Veneto, Sez. I, n 463 del 3.3.2004)

Considerato in diritto, in via preliminare, che "nell’ambito della serie procedimentale degli atti di approvazione di un progetto per la realizzazione di un’opera pubblica devono considerarsi impugnabili solo quegli atti che siano effettivamente dotati di lesività nei confronti del cittadini incisi dalla attività della P. A., tra cui in via generale devono comprendersi l’approvazione del progetto definitivo dei lavori da realizzare che, contenendo la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, come disposto dal comma 13 dell’art. 14 della l. 11 febbraio 1994 n. 109, imprime al bene privato quella particolare qualità (o utilità pubblica) che lo rende assoggettabile alla procedura espropriativa, il decreto di occupazione temporanea e d’urgenza…e il decreto di espropriazione…gli altri atti (quali, per esempio, l’approvazione del progetto preliminare…), non possono considerarsi ex se immediatamente lesivi…", almeno di norma.

(TAR Veneto, Sez. I, n. 475 del 3.3.2004)


<<L’accettazione dell’indennità di esproprio non fa venir meno l’interesse a coltivare l’impugnazione proposta avverso gli atti della procedura espropriativa. Tale principio è applicabile anche nell’ipotesi in cui l’indennità di esproprio risulti accertata a seguito della definizione del giudizio di opposizione alla stima con sentenza passata in giudicato. Non sussiste, in tal caso, come deduce l’appellante, una incompatibilità tra giudicati – quello sulla stima e quello sulla legittimità degli atti della procedura – atteso che il giudizio sulla stima non presuppone la legittimità degli atti della procedura, ma solo la loro esistenza; mentre, in caso di accertamento dell’illegittimità degli atti e del conseguente eventuale riconoscimento del danno, la somma liquidata a titolo di inden-nità si convertirà in acconto sul maggior danno eventualmente ritenuto spettante>>

(Cons. di Stato, Sez. IV. 30 maggio 2003, n. 3040).

<<I termini finali dei lavori e delle espropriazioni devono necessariamente essere indicati e contenuti nel primo atto in cui si concreta il potere di espropriazione; cioè, nel caso di dichiarazione implicita nell’approvazione del progetto, nella relativa delibera. L’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità ha efficacia caducante nei confronti del decreto di espropriazione>>

(Cons. di Stato, Sez. IV. 30 maggio 2003, n. 3040).

<<Secondo un consolidato indirizzo, l’art. 13, l. n. 2359 del 1865, in materia di apposizione dei termini, non è applicabile per le espropriazioni attinenti ai piani di zona per l’edilizia economica e popolare, essendo sostituito ed assorbito dalle disposizioni che delimitano nel tempo ope legis l’efficacia dei piani stessi (cfr. sez. IV, n. 3730 del 2000 cit.; 19 gennaio 1999, n. 41; Ad. plen., 23 maggio 1984, n. 11).>>

(Cons. di Stato, Sez. IV. 25 marzo 2003, n. 1545).

<<Il risarcimento del danno non è conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale ma richiede la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge, a garanzia di un corretto contenimento delle domande risarcitorie; in particolare, oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento (il "danno ingiusto"), nella specie accertata, è indispensabile che sia del pari accertata la colpa (o il dolo) dell’amministrazione, che sia accertata l’esistenza di un danno al patrimonio, che sussista un messo causale tra l’illecito ed il danno subito.>>

(T.A.R Puglia, Bari 21 marzo 2003, n 1359)

<<Legittimamente un ricorrente, dopo avere impugnato la dichiarazione di p.u., impugna con ricorso per motivi aggiunti anche il decreto di espropriazione, a nulla rilevando che nella causa già pendente le parti non siano esattamente coincidenti con quelle coinvolte nell'impugnazione del nuovo provvedimento, atteso che l’art. 21 comma 1 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, novellato dall'art. 1 della legge 21 luglio 2000 n. 205, prevede il ricorso per motivi aggiunti per "tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all'oggetto del ricorso stesso. L’istituto dei motivi aggiunti in corso di causa avverso atti diversi risponde ad esigenze di economia processuale, ed è l’alternativa alla riunione di distinti ricorsi relativi ad atti connessi, sicché va interpretato in senso estensivo; ove i motivi aggiunti avverso atti diversi siano ritualmente notificati, gli stessi non differiscono da un atto di ricorso, sicché anche se riguardano parti diverse da quelle originarie, possono essere assunti in trattazione, secondo l’apprezzamento del giudice, ove vi siano ragioni di connessione, dovendosi in tal caso ritenere adottato un tacito provvedimento giudiziale di riunione di ricorsi distinti>>.

(T.A.R Emilia Romagna, Bologna 21 luglio 2003, n 1024)


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La generale disciplina dettata dal capo III della legge n. 241 del 1990, in tema di partecipazione all’iter procedimentale, trova applicazione anche in materia espropriativa ed impone la comunicazione agli interessati dell'avvio del procedimento relativo alla dichiarazione (anche implicita) di pubblica utilità (cfr. ad es. Consiglio Stato a. plen., 15 settembre 1999, n. 14). La ratio sottesa alle norme in tema di garanzie partecipative, connessa all’attuazione dei principi di cui all'art. 97 Cost. in un sistema quindi caratterizzato dalla democraticità delle decisioni e della accessibilità dei documenti amministrativi, in cui l'adeguatezza dell'istruttoria si valuta anzitutto nella misura in cui i destinatari sono stati messi in condizione di contraddire, non può ritenersi superata dalla mera conoscibilità derivante da sistemi di pubblicazione assolutamente inidonei nei confronti di soggetti direttamente incisi nell’ambito della propria sfera, personale e patrimoniale, giuridicamente rilevante. Nessun rilievo può poi attribuirsi alla natura privata dei soggetti agenti, quali concessionari ed appaltatori dell’amministrazione: infatti, se per un verso gli stessi agiscono sulla scorta di un potere derivato dall’amministrazione e regolato dalle medesime norme, per un altro ragionando in senso contrario si giungerebbe ad una soluzione la quale, oltre ad apparire irragionevole e possibile fonte di tentativi di elusione delle garanzie suddette, comporterebbe una evidente disparità di trattamento costituzionalmente censurabile. A quest’ultimo proposito, costituisce principio pacifico quello per cui, in caso di dubbi interpretativi, occorre dare prevalenza all’opzione ermeneutica conforme ai principi costituzionali (cfr. ad es. Corte costituzionale 28 maggio 1999, n. 197).>> (T.A.R Liguria, Sez. I 30 aprile 2003, n 544)

<<La reiterazione della dichiarazione di pubblica utilità (scaduta o a qualunque titolo venuta meno), deve avvenire mediante lo svolgimento di un nuovo procedimento amministrativo strumentale alla detta dichiarazione, in modo che si possa tener conto delle determinazioni di tutti gli organi amministrativi legittimati ad interloquire e delle osservazioni dei privati, in ordine all'attuale assetto dei luoghi e degli eventuali mutamenti sopravvenuti alla precedente dichiarazione.>>

(Cons. di Stato, Sez. IV. 24 luglio 2003, n. 4230).

<<Gli impianti di telefonia mobile non sono opere pubbliche ma opere private di pubblica utilità. L'area necessaria può essere espropriata dal Comune ma l'indennità di esproprio deve essere commisurata al valore venale del bene. Sussiste un potere generale del Comune ad espropriare aree inedificate al fine di attuare il P.R.G.>>

(Cons. di Stato, sez. V, 26 agosto 2003, n. 4847)

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